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Il voto di Cesare Prandelli con la nazionale italiana

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    25/06/2012 18:30

    Cesare Prandelli, CT della nazionale italiana di calcio attualmente impegnata nei campionati europei, ha trovato un modo molto singolare di festeggiare le sue vittorie.




    Come spesso è accaduto l'Italia inizia EURO 2012 sfavorita, giudicata a livello internazionale come una squadra poco dinamica e prevedibile, di certo non paragonabile alle grandi favorite Germania, Spagna e (prima del pessimo esordio) Olanda.

    Ma gli azzurri amano stupire. Dopo aver disputato in modo apprezzabile le partite del girone C, ieri la nazionale ci ha deliziati con una partita mozzafiato e tutta in attacco, lasciando ben poco gioco agli inglesi.
    In pochi se lo sarebbero aspettati e gran parte del merito di questi successi va al commissario tecnico Prandelli, che con molta intelligenza sa gestire la squadra in modo rivoluzionario rispetto a quanto si era abituati.

    Il famoso Trappattoni si recava in campo con ingenti scorte di Acqua Santa, ma Prandelli ha voluto fare ancora di più: in caso di vittoria si sarebbe recato a piedi, insieme allo staff, in pellegrinaggio.
    E così è stato! Dopo la vittoria italiana sulla Repubblica d'Irlanda che ha consentito il passaggio del turno ai quarti di finale, il CT insieme allo staff azzurro è partito alle 3 del mattino per una lunga camminata di 21 km, fino all'eremo dei frati Camaldolesi.
    Ma Prandelli concede anche il bis: l'Italia ha la meglio ai calci di rigore contro l'Inghilterra e volta in semifinale, e allora il CT si fa altri 11 km a piedi verso un convento vicino Wieliczcka.
    Tornati alle 4 del mattino a Cracovia da Kiev, dove era stata battuta l'Inghilterra, nonostante la pioggia hanno raggiunto in pullman il ritiro, si sono cambiati ed hanno cominciato il cammino a piedi.


    Una simpatica testimonianza di fede "controcorrente" che a quanto pare sembra portare fortuna ad una squadra che era data per spacciata e che ora rientra tra le migliori 4 d'Europa.


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    Conny1810
    Post: 1.683
    Amministratore
    25/06/2012 21:19
    Riporto una intervista che Cesare Prandelli rilasciò nel primo anniversario della morte della moglie Manuela ad una giornalista del "Messaggero di Sant'Antonio".
    E'una testimonianza toccante che rivela l'essenza di un uomo che non teme di andare controcorrente in un mondo dove, i valori veri, sembrano ormai dimenticati.


    La forma più alta dell'amore


    di Cosetta Zanotti


    «Ho deciso di raccontare la mia storia per dire alle persone che soffrono che, anche nelle circostanze più dolorose, è possibile trovare la forma più alta d’amore. Questo sentimento rimarrà dentro di noi anche dopo e paradossalmente ci farà stare bene».


    A un anno dalla scomparsa dell’amata moglie Manuela, Cesare Prandelli si racconta e ci spiega come ha giocato la partita della vita. La prima conferma dell’affetto sincero che Firenze prova per Cesare Prandelli l’ho avuta al mio arrivo in taxi allo stadio Franchi: sul cruscotto dell’auto campeggia uno scudo viola. «Tifoso?» chiedo al tassista. «Certo! – risponde garbatamente –. Chi deve intervistare?». «Prandelli» rispondo. «Gli vogliono tutti bene, qui!». Poco più tardi capisco perché. Ci presentano. Mi metto in ascolto con una buona dose di emozione che, col passare dei minuti, si trasforma in felice stupore. Quello che ne esce non è solo il racconto di una morte, ma della gioia di esistere, quella vera, tipica di chi si affida… nonostante tutto.

    «Lei frequentava il liceo». Inizia così il suo racconto, con una voce che, via via, s’intenerisce. «Abbiamo cominciato a vederci come tutti i ragazzini e da lì è nata la nostra storia… una bella storia. Nicolò è nato a Torino e Carolina a Bergamo. Io e Manuela abbiamo sempre cercato di farli crescere lontano dal mio ambiente. E adesso sono veramente orgoglioso di quella scelta: niente privilegi, niente raccomandazioni. Ho due ragazzi meravigliosi».

    Msa. E la nostalgia?

    Prandelli. Ogni tanto hai bisogno di ricordare e di coccolarti, e così, con la memoria, vai a rivedere tante cose. In altri momenti, invece, capisci di dover andare avanti. Io e i ragazzi ne parliamo spesso. Ci diciamo di aver avuto la fortuna di conoscere una persona meravigliosa: la mamma, ma non dobbiamo fare paragoni mettendo come punto di confronto sempre e comunque lei, perché diventerebbe difficile andare avanti. Il rimando è troppo forte (un attimo di silenzio poi continua). A molti le mie parole potrebbero suonare strane: abbiamo vissuto un dramma, ma l’abbiamo vissuto serenamente. Non so che alchimia sia capitata. Credo sia per il fatto che eravamo uniti anche dal punto di vista della fede e, in questo percorso, siamo stati accompagnati anche da fra’ Elia. Ricordo che parecchie persone, venute a trovare Manuela in quei giorni, avevano avvertito un’aria particolare, diversa rispetto a quella che si respira visitando una persona morta. Anche noi avevamo, e abbiamo tuttora, la stessa percezione. Non nego che ci siano momenti duri in cui i miei ragazzi hanno più difficoltà. Tuttavia credo che dobbiamo essere orgogliosi di noi, riconoscendo di essere fortunati. Chi ha vissuto un’esperienza tanto drammatica, non sempre ha avuto la possibilità di affrontarla in modo così sereno.

    Sono belle le sue parole.

    È difficile parlarne, ma credo sia giusto farlo. Bisogna dare fiducia e speranza alle persone che stanno vivendo momenti come questi. Oltre a fra’ Elia, che è stata una figura straordinaria, abbiamo conosciuto dei medici che ci hanno aiutato a vivere gli ultimi mesi. Manuela li chiamava «i miei angeli». Ci hanno spiegato che, in questi casi, l’ultimo senso che si perde è l’udito. Quindi, se fino alla fine il malato ascolta una voce familiare, si sente comunque e sempre coccolato. In questa situazione i miei figli sono stati bravissimi. Non era facile. E Manuela, nonostante il dolore e la difficoltà, ha accettato di attraversare questo momento, l’ha proprio accettato.

    Una malattia che non perdona lascia il tempo di salutare la vita. Possiamo chiederle l’ultimo ricordo bello?

    I sorrisi che ci ha fatto qualche ora prima.

    Molte persone attraversano il dolore accompagnati dalla solitudine. Com’è stato per la sua famiglia?

    La forza della famiglia. Cesare Prandelli con la moglie Manuela e i figli Nicolò e Carolina.
    La forza della famiglia. Cesare Prandelli con la moglie Manuela e i figli Nicolò e Carolina.
    All’inizio della malattia abbiamo mantenuto il riserbo. Manuela non voleva far sapere della sua condizione e, benché io sia per certi aspetti un solitario, ammetto che questa esperienza è davvero difficile da vivere isolati dagli altri. È importante avere qualcuno vicino. Noi non siamo stati lasciati mai soli. La fede ci ha dato tanta energia. Soprattutto la preghiera, fatta insieme ai familiari e ai figli. Abbiamo avuto la fortuna di avere legami importanti e veri già da prima. Penso che la preparazione sia fondamentale per affrontare il dopo. Se arrivi preparato, dopo aver fatto delle tappe, credo sia meno difficile. Se non sei pronto e hai vissuto da solo, poi da solo devi uscirne ed è un lavoro estremamente faticoso. La famiglia di mia moglie è stata straordinaria. Abbiamo organizzato tutto insieme. Io in quel periodo dovevo comunque allenare ed erano mio cognato Franco o mia cognata Raffaella a portare Manuela a fare gli ultimi controlli. Poi c’erano le mie sorelle. La nostra è una tribù, una famiglia allargata, da trent’anni andiamo in vacanza in non meno di venti persone. Tutti erano consapevoli del problema di Manu e tutti hanno partecipato. Nel dopo, con Nicolò e Carolina, abbiamo continuato ad avere gli stessi riferimenti.

    Se facessimo un paragone calcistico: come va giocata la relazione tra due persone che si amano?

    Dipende da come vuoi impostare la partita. Se giochi pensando solo al risultato, allora prima o poi perdi e non c’è possibilità di continuità nel rapporto. La partita va giocata con l’amore, la partecipazione, con il saper ascoltare l’altro e saper fare un passo indietro se necessario.

    In un’intervista lei parla della paura di amare di cui capita di discutere coi suoi ragazzi e con i suoi figli. Bisogna esagerare nell’amare?

    Fin da piccolo sono stato abituato alla fisicità e a un contatto fatto di abbracci, quasi a «stropicciare» le persone a cui voglio bene. Esprimo ancora in questo modo i miei sentimenti alle mie sorelle o a mia madre che ha ottant’anni. Ho trasmesso questo anche ai miei figli. Molto spesso i ragazzi hanno paura di dire a una persona «ti voglio bene» o «ti voglio abbracciare». I ragazzi hanno paura dei propri sentimenti. Fanno fatica a confidarsi e a dire a una persona certe parole così intime. Ho sempre detto ai miei figli di custodire l’entusiasmo nel comunicare i propri sentimenti, sia che li debbano esprimere sul piano dell’amicizia sia che lo debbano fare nell’ambito del lavoro. Amare significa darsi completamente all’altro, essere a sua disposizione. Bisogna quindi esagerare, non possiamo limitarci concedendo solo pezzettini di noi.

    Dopo un anno come avete vissuto i momenti che solitamente trascorrevate insieme?

    Abbiamo passato del tempo insieme agli amici veri, siamo andati al mare, ci siamo coccolati, abbiamo ricordato, cercando comunque di superare il disagio di parlare di alcuni ricordi per noi piacevoli ma che, richiamati alla mente di altre persone, creano sempre un po’ di commozione. Ci siamo detti anche che ci volevamo divertire perché è giusto così. Dopo mesi nei quali la mia indole riservata mi aveva portato a chiudermi ancor di più in me stesso, ero diventato, di fatto, un orso. Quest’estate, grazie agli amici più cari, ho ritrovato il piacere di aprirmi. Con i miei figli abbiamo pensato fosse giusto.
  • worry
    30/06/2012 18:01
    Con la vittoria italiana sui tedeschi Prandelli e lo staff della nazionale hanno intrapreso un nuovo pellegrinaggio, ma mi è piaciuto molto quanto detto dal CT in conferenza stampa.
    Ha infatti dichiarato che questi pellegrinaggi non sono scaramanzia, sono una cosa molto personale e che desidera rimanga tale.
    Credo che specificare l'assenza di riti scaramantici da parte sua non sia stata casuale. Molti sportivi, allenatori e giocatori, hanno i loro portafortuna personali. Ma i pellegrinaggi di Prandelli sono dettati dalla fede ed è stato un bene che abbia precisato il carattere personale di questa iniziativa.


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