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Le pecore e il buon Pastore

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    Ale0907
    Post: 29
    18/04/2016 21:08
    Riporto il Vangelo di ieri ed un interessante approfondimento tratto da questo blog:
    piccologaetanoblog.wordpress.com/2016/04/15/il-lupo-non-ti-mangera-avremo-sempre-bisogno-di-qualcuno-che-ci-tenga-...
    Tante volte smarriamo la via e non ci rendiamo conto che la strada più semplice è affidarsi alla voce, alla Parola di Dio. L'unica soluzione è affidarsi a Lui cercandolo, chiamandolo, accogliendolo completamente.


    Gv 10, 27-30
    Dal Vangelo secondo Giovanni

    In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.
    Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.
    Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».


    Meditazione sul Vangelo della IV domenica di Pasqua (anno C)
    17 aprile 2016

    Gv 10,27-30


    «Il cristiano è un animale malato

    che fa della propria debolezza una virtù,

    proiettando in una illusoria vita oltre la morte

    il premio per le proprie sofferenze e frustrazioni».

    F. Nietzsche



    Siamo pecore che a volte si perdono. Sarà stata la curiosità o a volte la monotonia, ma a tutti è capitato di allontanarsi dal gregge. Abbiamo cercato altri pascoli o semplicemente cercavamo un po’ di solitudine.

    Ma, come le pecore, cerchiamo sempre un ovile a cui ritornare, cerchiamo un pastore che si prenda cura delle nostre ferite e calmi le nostre paure.


    Non è solo un desiderio, non è solo un’aspirazione, un sogno che può starci oppure no, cercare qualcuno che si prenda cura di noi è un bisogno che chiede necessariamente di essere realizzato. Siamo nati ancora fragili e la nostra vita non sarebbe mai sbocciata se qualcuno non si fosse preso cura di noi.


    Attraverso l’immagine del Pastore, Gesù dice che solo lui colma in pienezza il nostro bisogno di cura. È come se il senso della sua vita fosse esattamente quello di mettersi sulle spalle la pecora smarrita: non a caso, nelle prime rappresentazioni di Cristo, quelle delle catacombe, quando i primi cristiani cominciavano a cercare immagini per rappresentare il Dio in cui credevano, l’hanno subito dipinto come il pastore bello che ha sempre una pecora sulle spalle:

    «Come un pastore egli fa pascolare il gregge

    e con il suo braccio lo raduna;

    porta gli agnellini sul seno

    e conduce pian piano le pecore madri». Isaia 40,11

    buon pastore

    Non è scontato riconoscere in noi il bisogno di cura che ci abita. La nostra cultura ci spinge ad affermare la nostra autonomia, l’indipendenza e l’autosufficienza. L’uomo postmoderno non ammette vuoti, è pienamente immerso nell’illusione di poter rispondere sempre autonomamente alle proprie mancanze.

    Da Nietzsche in poi, il gregge è diventato per noi il simbolo della mancanza di libertà e di autonomia del pensiero. E proprio perché rifiutiamo di riconoscere in noi il bisogno di qualcuno che si prenda cura di noi, finiamo con il rifiutare anche l’idea di un Dio che si fa pastore.

    I Giudei stessi sono infastiditi da questa immagine proposta da Gesù e, davanti a questa immagine di Dio, prendono le distanze (Gv 10,31: «Di nuovo i Giudei raccolsero pietre per lapidarlo»): paradossalmente preferiamo un Dio che ci chiede sacrifici e sforzi per essere degni di lui, piuttosto che un Dio che viene a cercarci quando ci siamo persi. Preferiamo un Dio che ci metta alla prova come in un’eterna gara piuttosto che un Dio che si prende cura delle nostre ferite. Siamo molto più inclini a verificare quanto siamo bravi, piuttosto che a vedere quanto siamo feriti!


    L’unico modo per non perdersi è ascoltare la voce del Pastore: come in qualunque relazione, solo con il tempo si impara a riconoscere la voce dell’altro. La voce è il segno della presenza, rende presente l’altro anche quando non c’è: quando qualcuno ci chiama, ma non riusciamo a vederlo, ne riconosciamo la presenza attraverso la voce. La Parola di Dio è la voce attraverso cui Dio ci raggiunge, la Parola di Dio è la voce del pastore che raduna il gregge.

    Nella nostra vita si mescolano molte voci, spesso sono voci di mercenari a cui non interessa il nostro bene, ma solo il loro guadagno. Più diventiamo familiari con la voce del Pastore, tanto più facilmente saremo capaci di riconoscerla, anche quando ci saremo persi, anche quando saremo lontani, anche quando sta ormai calando la notte.

    A differenza del mercenario, il pastore non fugge: è probabile che questa immagine sia emersa in un tempo di persecuzione della comunità cristiana. Ma i lupi che rapiscono e disperdono sono una realtà di ogni tempo. I lupi arrivano sempre, inevitabilmente, nella nostra vita. Possiamo anche credere di non essere inermi come pecore, ma se non ci fosse un pastore che si prende cura di noi, non potremmo che essere sbranati dai lupi.



    Nella vita ci si può perdere, perché in quell’ovile che è la vita c’è sempre una porta: continuamente siamo messi davanti a situazioni in cui scegliere se vogliamo restare o se vogliamo andarcene. Forse non sempre è così evidente dov’è la vita e dov’è la morte. Ecco perché nel racconto di Gesù il Pastore stesso diventa la Porta: «io sono la porta delle pecore» Gv 10,7.

    La porta è l’immagine della libertà: non siamo mai prigionieri di Dio. E anche questo ci spaventa: a volte avremmo preferito un Dio che ci avesse tenuti al sicuro dentro una torre senza porte e senza finestre. Ma il Dio di Gesù è il pastore di un ovile la cui porta è sempre aperta: la responsabilità di scegliere la vita è sempre nelle nostre mani. Ma seppure ci perdessimo, possiamo essere certi che il Pastore sta già venendo a cercarci.


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    Giovanna Maria
    Post: 135
    20/04/2016 16:19
    L'immagine del Buon Pastore è quella che più si addice a Gesù, almeno secondo me, perchè chi crede in Lui è come una pecora che ha bisogno di essere amata da Lui che è l'unico e vero Pastore della nostra vita perchè ci ama e si preoccupa del nostro operato sia se stiamo con Lui e anche se ci "smarriamo" Lui si prodiga per venirci a cercare.
  • worry
    31/05/2016 13:56
    La parabola della pecorella smarrita è una delle più famose del Vangelo, insieme a quella del figliol prodigo. Sono in effetti due parabole dove ci viene proposta un'immagine diversa di Gesù: nella prima è Lui che cerca senza sosta di ritrovare la pecora, nella seconda il Padre buono non va alla ricerca del figlio, non gli impedisce di andarsene, nemmeno lo rimprovera cercando di convincerlo a restare. È un Padre che aspetta.
    Perché questa differenza? Cosa cambia tra pecora smarrita e figliol prodigo? La pecora fa parte del gregge. Seguiva già il pastore, semplicemente ad un certo punto esce di strada. Come il cristiano che per molte cause, vuoi la società, le cattive amicizie e così via, si allontana da Dio, magari smette di pregare e perde il fervore spirituale che aveva. Ma da qualche parte dentro di lui rimane una connessione con Dio, un desiderio di cercarlo. Ecco che allora il buon pastore fa tutto il possibile per recuperare la pecorella.

    Il figliol prodigo invece è colui che rifiuta Dio. Quello che non vuole averci nulla a che fare e lo disprezza, vive senza pensarci minimamente. In quel caso Dio è sempre pronto al perdono non appena il figlio si ravvede, ma non lo forza a tornare, lo lascia libero.

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