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Versetti biblici interpretati male

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    19/07/2017 10:38
    #1 Non giudicate (Mt 7,1)

    La frase "non giudicate" appare più volte nel Vangelo (Mt 7,1 - Lc 6, 37), ed è spesso travisata o interpretata in modo superficiale.
    La gran parte dei cristiani, infatti, utilizza il "non giudicate" come scusa per non esporsi, non esprimere apertamente la propria opinione o addirittura tollerare comportamenti profondamenti sbagliati. Si pensa che non giudicare significhi esimersi da qualsiasi valutazione critica, che si debba cioè accettare qualsiasi comportamento - anche se palesemente ingiusto - perché non spetta all'uomo valutare l'operato degli altri.

    Tale visione però contrasta apertamente con moltissimi passaggi sia del Nuovo che dell'Antico Testamento, e più in generale contrasta con il principio stesso di carità: la carità cristiana, infatti, consiste nel portare le persone alla fede, alla salvezza della propria anima. La carità, dice Papa Pio X, non consiste nella tolleranza delle convinzioni erronee. La carità sta nello zelo per il miglioramento intellettuale e morale. Di conseguenza è impegno per ogni cristiano non solo adoperarsi in prima persona per seguire gli insegnamenti di Gesù, ma anche cercare di trasmettere questi insegnamenti agli altri, secondo quanto Gesù stesso ha ordinato ai suoi discepoli: Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. (Mc 16, 15).
    La tolleranza o la permessività verso il peccato è essa stessa peccato, perché ci rende complici: "Rimprovera apertamente il tuo prossimo, così non ti caricherai d'un peccato per lui." (Lv 19, 17).
    D'altro canto il Vangelo è ricchissimo di inviti a non cadere in giudizi e critiche, ad esempio «Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello, e non t’accorgi della trave che è nel tuo?» (Lc 6,41), «Chi sei tu che ti fai giudice del tuo prossimo?» (Gc 4,12), «Cessiamo dunque di giudicarci gli uni gli altri;» (Romani 14,13).

    Che cosa significa, dunque, non giudicare? Risponde Sant'Agostino: Non giudicate per non essere giudicati, poiché secondo il giudizio con cui giudicherete, sarete pure giudicati. Saranno forse giudicati con lo stesso giudizio iniquo, col quale giudicheranno? Nemmeno per sogno. In Dio infatti non c'è neppure l'ombra d'ingiustizia. Quindi l'espressione: Sarete giudicati secondo lo stesso giudizio con cui avrete giudicato vuol dire: "Sarete salvati per merito della stessa volontà con cui farete del bene, sarete puniti per colpa della volontà con cui avrete fatto del male". Sarebbe come se uno, condannato ad essere accecato per essersi servito degli occhi onde soddisfare la turpe sensualità, a ragione si sentisse dire: "Hai meritato il castigo negli stessi occhi con cui hai peccato". Poiché è del giudizio buono o cattivo dell'animo che ciascuno si serve per fare il bene o il male. Non è quindi ingiusto che sia pure giudicato in rapporto alla facoltà di cui si serve per giudicare (ossia deliberare), cioè che sconti la pena in proporzione al giudizio del proprio animo, soffrendo le pene che sono la conseguenza del suo animo che ha giudicato in modo malvagio.

    Non giudicare va inteso pertanto come non giudicare male. Astenersi cioè da commenti aspri, pettegolezzi, calunnie, giudizi affrettati, volendo sempre e solo vedere il male e l'errore. Gesù ordina di non giudicare perché l'uomo non può conoscere il cuore e le intenzioni di un altro uomo (cfr Ger 17, 9). Poichè tutti siamo peccatori, con quale superbia potremmo accusare qualcun'altro di esserlo? Un conto è dunque il giudizio sulla persona, un conto è il giudizio sull'opera. Questo ci viene confermato dall'apostolo Giovanni, che dice "Non giudicate secondo le apparenze, ma giudicate con giusto giudizio!" (Gv 7, 24) e da San Paolo "Correggete gli indisciplinati." (1 Tessalonicesi 5,14).
    Conclude quindi Sant'Agostino: “Io non penso che ci sia ordinato altro in questa materia se non di giudicare in bene ciò che è dubbio.
    Dio ci permette di giudicare ciò che non può partire da un'anima buona, come le bestemmie, gli oltraggi al pudore e altre cose simili.


    In conclusione, il non giudicare non deve frenare davanti alle ingiustizie, non deve impedire di cercare di correggere un fratello che sta sbagliando né tantomeno autorizza - in modo talvolta ipocrita - a nascondere la propria opinione per paura di essere criticati. Al tempo stesso, non autorizza a giudicare temerariamente, a credersi superiori, a valutare il cuore di una persona. Quando un fretello cade o commette un errore occorre agire con dolcezza e comprensione, ricordando che siamo tutti soggetti alle stesse debolezze: Annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina. (2Timoteo 4, 2)

    #2 Ama il prossimo (Mt 22,39)

    Questa espressione viene spesso interpretata in modo superficiale, pensando che l'amore al prossimo corrisponda all'aiuto materiale, al fare la carità o in opere di volontariato. Benché si tratti senza dubbio di azioni buone, l'amore al prossimo è un concetto ben più profondo e che è importante conoscere per sapere come è giusto agire nei confronti degli altri.

    Anzitutto è bene osservare che esistono vari gradi di amore:
    - al primo posto viene l'amore per Dio, che va amato con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. (Mt 22, 37).
    - vi è poi l'amore per il prossimo, che va amato come sé stessi (Mt 22, 39);
    - l'amore per gli amici, per i quali si è disposti a dare la vita: nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici (Gv 15, 13)
    - l'amore per i nemici: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori (Mt 5, 44)

    Notiamo subito che mentre Gesù spiega in che cosa consiste l'amore per Dio, per il prossimo e per gli amici, non dà un termine di paragone rispetto all'amore per i nemici, ma precisa "pregate per i vostri persecutori". Sant'Agostino spiega che amare il nemico significa non coltivare desideri di vendetta personale, perché solo Dio conosce il cuore dell'uomo e perché Dio desidera il perdono dei peccatori, non la loro perdizione. Pertanto amare il nemico significa pregare per la sua anima affinché si converta e venga perdonato, così come Gesù ha fatto sulla croce e come hanno fatto molti martiri dopo di Lui, tra cui il celebre caso di Santo Stefano che, prima di essere lapidato, pregò per la conversione di Saulo, divenuto poi San Paolo.

    Se bisogna imparare ad amare il nemico, in modo da non tramare nei suoi confronti desideri di vendetta e rovina, tanto più si dovrà amare l'amico, al punto persino da essere disposti a dare la vita. Ma chi è l'amico? Gesù precisa: voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando (Gv 15, 14). Gli amici di Cristo, che sono tra loro fratelli, sono quelli che hanno fede in Gesù, e che hanno pertanto lo stesso Padre. L'apostolo Giovanni ribadisce che siccome Gesù ha dato la vita per noi, anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli. Ciò trova conferma anche nell'espressione "amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi", che presuppone un amore reciproco - l'uno verso l'altro - e che è per forza di cose costituito da due volontà che si incontrano e che viaggiano nella stessa direzione: quella di seguire i comandamenti di Dio.

    Arriviamo all'amore per il prossimo: questi va amato come amiamo noi stessi. Prima di amare il prossimo, dunque, si deve amare sé stessi e ancor prima capire cosa veramente significhi amare sé stessi. Sant'Agostino riflette sul fatto che l'uomo pensa che amare sé stesso significhi nutrirsi, soddisfare le esigenze del corpo, evitare la sofferenza, cercare il piacere. Amare il prossimo corrisponderebbe allora nel provvedere allo stesso modo nei suoi confronti. Ma questo è un grande errore, è un amore per l'iniquità che porta alla rovina.
    L'unico modo per amare il prossimo è amare sé stessi, e amare sé stessi vuol dire amarsi in maniera completamente buona, cioè cercando il bene della propria anima. "Ma qual è questo bene? Lo trovi nel primo e più grande precetto: Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Quando infatti comincerai ad amare Dio, allora comincerai ad amare te stesso."
    Ecco la risposta! Ecco perché Gesù indica che il primo comandamento sta nell'amare Dio e immediatamente dopo viene l'amore per il prossimo: solo imparando ad amare Dio - che è fonte dell'amore - si apprende il vero bene e ci si impegna per la salvezza dell'anima.
    Cosa diremmo, ad esempio, di un genitore che fornisce della droga al figlio per accontentarlo? Diremmo che si tratta di un genitore scellerato, che se amasse veramente suo figlio cercherebbe di aiutarlo a disintossicarsi per il suo vero bene, pur sapendo che tale processo implica sofferenza.
    Allo stesso modo amare sé stessi implica l'intraprendere il cammino spirituale seguendo la via che Gesù ci ha indicato. Una via talvolta stretta e angusta, non sempre comoda, ma che conduce alla vera gioia e alla salvezza. Amare il prossimo ha dunque un significato ben più denso di quanto superficialmente si possa pensare: amarlo veramente vuol dire agire per il suo vero bene, per la sua conversione, per la salvezza della sua anima. Poiché è necessario agire con magnanimità, senza imporsi, si deve anche capire quando è il momento di tirarsi indietro perché il prossimo non intende ascoltare. Se in qualche luogo non vi riceveranno e non vi ascolteranno, andandovene, scuotete la polvere di sotto ai vostri piedi, a testimonianza per loro. (Mc 6, 11).
    Non è amore dunque accontentare sempre in tutto, o limitarsi ad offrire un aiuto materiale, ma anzi correggere con dolcezza quando serve. Rimprovera apertamente il tuo prossimo, così non ti caricherai d'un peccato per lui (Lv 19, 17).
    L'amore del prossimo, dice San Paolo, esclude ogni male. Esclude cioè tutto ciò che è dannoso per l'anima.


    #3 A quanti però l'hanno accolto, ha dato il potere di diventare Figli di Dio (Gv 1,12)

    Chi sono i figli di Dio?
    Più che interpretato male, questo versetto viene spesso del tutto ignorato. Negli ultimi anni, infatti, si è diffusa l'idea errata secondo cui tutti sono figli di Dio.
    Dio è il creatore di tutte le cose, e quindi tutti noi siamo sue creature e ci ama in quanto tali. Ma le Scritture sono chiarissime nel distinguere le creature dai figli, così come si distingue il prossimo dai fratelli.
    Figli di Dio sono coloro che riconoscono Dio come Padre. Figli di Dio sono gli operatori di pace (Mt 5, 9), sono quelli che accolgono Gesù e credono in Lui (Gv 1, 12). Questo versetto di Giovanni è molto significativo perché usa il verbo "diventare". Ciò significa che non si nasce figli di Dio, ma lo si diventa nel momento in cui si fa un atto di fede. I figli di Dio, spiega San Paolo, sono guidati dallo Spirito di Dio, e in quanto figli sono anche eredi di Dio, se partecipano alle sofferenze di Cristo. Non sono considerati figli di Dio i figli della carne(Rm 9, 8), chi non pratica la giustizia non è figlio di Dio ma figlio del diavolo (1G 3, 10).
    Tutti quelli infatti che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio.(Rm 8,14).
    San Giovanni apostolo specifica ancor meglio il fatto che i figli di Dio, essendo a Lui fedeli, sono distinti dai figli del mondo:
    Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! La ragione per cui il mondo non ci conosce è perché non ha conosciuto lui. (1Giovanni 3,1). Quelli che non conoscono Dio, cioè quelli che lo rinnegano, non sono dunque suoi figli, e infatti è chiarissima in Giovanni la distinzione tra "noi, i figli di Dio", e "loro, quelli che non ci conoscono."

    Diventa a questo punto facile capire perché le Scritture talvolta parlano del prossimo (cioè qualsiasi individuo) e talvolta parlano di fratello: fratelli sono quelli che hanno lo stesso padre; in senso spirituale, sono fratelli quelli che hanno fede in Gesù. Questo non significa disprezzare chi non ha fede o chi professa altre religioni, ma ci è utile per capire che solo Gesù conduce alla salvezza. Tutte le religioni vanno rispettate, ma solo una è la vera religione e solo uno è il vero Dio. Se così non fosse, non avrebbe senso la predicazione del Vangelo. Per questo infatti Gesù ha ordinato ai suoi discepoli di predicare la Parola di Dio in tutto il mondo, perché solo dalla fede in Lui viene la vera salvezza. Se dicessimo che tutte le religioni sono uguali, andremmo contro le parole di Gesù stesso, Lui solo che è via, verità e vita. L'amore di Dio, che certo è riversato su ogni creatura, vuole che tutti Lo conoscano.



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    [Modificato da worry 19/07/2017 10:49]
  • worry
    26/07/2017 11:41
    #4 La sua misericordia si stende su quelli che lo temono (Lc 1, 50)

    Oggi si parla moltissimo di misericordia, ma spesso si travisa e soprattutto si abusa il suo significato.
    Misericordia indica un sentimento di compassione e solidarietà verso il prossimo, e nella Bibbia la misericordia è spesso indicata come uno degli attributi principali di Dio.
    È Dio stesso a definirsi misericordioso, già nel libro del Deuteronomio, quando riferisce a Mosè i dieci comandamenti: Perché io il Signore tuo Dio sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione per quanti mi odiano, ma usa misericordia fino a mille generazioni verso coloro che mi amano e osservano i miei comandamenti. (Dt 5, 10)
    Anche Re Salomone invoca la misericordia di Dio, in una magnifica dichiarazione: Signore, Dio di Israele, non c'è un Dio come te, né lassù nei cieli né quaggiù sulla terra! Tu mantieni l'alleanza e la misericordia con i tuoi servi che camminano davanti a te con tutto il cuore. (1Re 8, 23), e ancora Neemia ribadisce: Signore, Dio del cielo, Dio grande e tremendo, che mantieni l'alleanza e la misericordia con quelli che ti amano e osservano i tuoi comandi. (Ne 1, 5)

    Chi ottiene misericordia?
    Da questi versetti è ribadito in modo chiaro che la misericordia di Dio non è estesa a tutti indistintamente, ma è rivolta a chi lo ama e osserva i Suoi comandamenti. La grazia e la misericordia sono per i suoi eletti e la protezione per i suoi santi. (Sap 4, 15)
    Ciò non contrasta in alcun modo con la bontà di Dio, poiché Dio, oltre che misericordioso, è anche giusto: Tu sei giusto, Signore, e giuste sono tutte le tue opere (Tobia 3,2). In Tobia possiamo leggere chiaramente questi due aspetti, la giustizia e la misericordia, a seconda della rettitudine di cuore dell'uomo: Egli castiga e usa misericordia, fa scendere negli abissi della terra, fa risalire dalla Grande Perdizione / Vi castiga per le vostre ingiustizie, ma userà misericordia a tutti voi. (Tobia 13).
    Poiché la misericordia di Dio non va abusata, ma accettata come immenso dono di Dio verso i peccatori, essa deve produrre un sentimento di gratitudine e non va data per scontata, così come dice il salmista: io per la tua grande misericordia entrerò nella tua casa; mi prostrerò con timore nel tuo santo tempio. (Salmo 5, 8)

    La misericordia va chiesta: la misericordia di Dio è spesso posta a fianco al perdono, essendo proprio per la Sua misericordia che Dio perdona i peccati. Tuttavia, nel rispetto del libero arbitrio, Dio - che è sempre pronto al perdono - attende un atto di pentimento e una richiesta da parte del peccatore. Per questo, sempre nei salmi, troviamo decine di versetti proprio dedicati alla richiesta di perdono e di misericordia: Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia; nella tua grande bontà cancella il mio peccato. (Salmo 50, 3); Il Signore disse: "Io perdono come tu hai chiesto;" (Numeri 14, 20).
    Dobbiamo dunque essere certissimi della misericordia di Dio, che è sempre disposto a perdonare qualsiasi peccato, anche il più grave e terribile, come ci ricorda splendidamente il profeta Isaia: Anche se i monti si spostassero e i colli vacillassero, non si allontanerebbe da te il mio affetto, né vacillerebbe la mia alleanza di pace; dice il Signore che ti usa misericordia. (Is 54, 10); ma poiché la misericordia è per coloro che amano Dio, non si può sperare di avere misericordia se non ci si pente del male commesso e non ci si propone di migliorare sé stessi.

    Nel Vangelo, Gesù approfondisce ulteriormente il concetto di misericordia, annunciando prima di tutto che, per avere misericordia da Dio, occorre che anche noi siamo misericordiosi con gli uomini (Mt 5, 7); accusato di mangiare insieme ai peccatori, Gesù risponde Misericordia io voglio e non sacrificio. Infatti non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori. Queste parole confermano la necessità di redimersi per ottenere il perdono, proprio perché Gesù chiama a sé i peccatori, non li lascia nel loro peccato, ma li avvicina perché si convertano, credano in Lui e mettano in pratica la Sua parola.
    Capiamo così che parlare di misericordia, senza includere la giustizia, è una mancanza che porta inevitabilmente al travisamento delle scritture..trasgredite le prescrizioni più gravi della legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. (Mt 23, 23).
    Ecco le prescrizioni che Gesù indica come le più importanti della legge:
    - giustizia;
    - misericordia;
    - fedeltà;


    In conclusione, la misericordia non va data per scontata né pretesa senza merito. Teniamo bene a mente le parole di Sant'Alfonso Maria de Liguori, secondo il quale ne ha mandati più all'inferno la misericordia che la giustizia. Il rischio che si corre è quello di non pentirsi, di agire in modo sconsiderato perché non si ha più quel sano timore di Dio che tutti i santi e Gesù stesso hanno insegnato. Allo stesso tempo, la misericordia deve suscitare slancio di amore e gratitudine a Dio, poiché essa è un dono della sua infinità bontà, è quella che mitiga la giustizia e la santa ira di Dio. Nessuno meglio di San Paolo lo spiega con chiarezza:
    C'è forse ingiustizia da parte di Dio? No certamente! Egli infatti dice a Mosè:
    Userò misericordia con chi vorrò,
    e avrò pietà di chi vorrò averla.
    Quindi non dipende dalla volontà né dagli sforzi dell'uomo, ma da Dio che usa misericordia. [...] Dio quindi usa misericordia con chi vuole e indurisce chi vuole.
    Mi potrai però dire: «Ma allora perché ancora rimprovera? Chi può infatti resistere al suo volere?». O uomo, tu chi sei per disputare con Dio? Oserà forse dire il vaso plasmato a colui che lo plasmò: «Perché mi hai fatto così?». Forse il vasaio non è padrone dell'argilla, per fare con la medesima pasta un vaso per uso nobile e uno per uso volgare? Se pertanto Dio, volendo manifestare la sua ira e far conoscere la sua potenza, ha sopportato con grande pazienza vasi di collera, già pronti per la perdizione, e questo per far conoscere la ricchezza della sua gloria verso vasi di misericordia, da lui predisposti alla gloria, cioè verso di noi, che egli ha chiamati non solo tra i Giudei ma anche tra i pagani, che potremmo dire? [...]
    Che diremo dunque? Che i pagani, che non ricercavano la giustizia, hanno raggiunto la giustizia: la giustizia però che deriva dalla fede; mentre Israele, che ricercava una legge che gli desse la giustizia, non è giunto alla pratica della legge. E perché mai? Perché non la ricercava dalla fede, ma come se derivasse dalle opere. Hanno urtato così contro la pietra d'inciampo, come sta scritto:
    Ecco che io pongo in Sion una pietra di scandalo
    e un sasso d'inciampo;
    ma chi crede in lui non sarà deluso.


  • worry
    05/09/2017 09:55
    #5 Se non vi convertirete e non diventerete come bambini non entrerete nel regno dei cieli. (Mt 18, 3)

    Gesù ci chiede di essere come bambini, ma cosa significa?
    I bambini sono simbolo di innocenza e purezza. Esorta San Paolo ad essere senza malizia come i bambini, ma saggi come gli uomini.
    Non ci si può però fermare a questo semplice significato, dato che Gesù arricchisce la frase con un'affermazione importantissima: di essi - e non di altri - è il regno dei cieli.
    Il concetto è ribadito da Pietro: come bambini appena nati bramate il puro latte spirituale, per crescere con esso verso la salvezza (1P 2:2).
    Che cosa sfugge, dunque, a questa prima, frettolosa interpretazione? Sfugge la radice della purezza e della bontà, che è Dio. Da Dio proviene ogni bene, perciò non ci si può limitare a poclamare bontà e amore, senza parlare anche di Dio. L'essere come bambini non è tanto l'essere ingenui, quanto l'avere una fede cieca e totale. Questo infatti fa il bambino: si affida, senza farsi domande, alla mamma e al papà con trasporto totale. Non dubita mai dei suoi genitori, se si fa male o ha paura li chiama, se è triste si rifugia in loro. Ecco cosa intende veramente Gesù quando parla dei bambini: ci chiede di fidarci completamente di Lui, di mettere nelle Sue mani la nostra vita, di affidarGli il nostro futuro e di ricorrere sempre a Lui per tutti i nostri bisogni spirituali e materiali. "La tua fede ti ha salvata" disse. È dalla fede, cioè dal ricorso fiducioso a Dio, che deriva ogni bene. Per questo è solo con la fede che si ottiene la salvezza, e per questo dei bambini è il regno dei cieli.
    È interessante la testimonianza di Padre Amorth, secondo cui gli esorcismi una volta erano più efficaci perché c'era più fede. Oggi pensiamo di avere fede perché crediamo che esista un Dio, ma non chiediamo il Suo intervento nella nostra vita, non preghiamo perché ci dia consiglio, pensiamo che sia in Cielo, lontano da noi, e quindi la fede che abbiamo è sterile.
    È attraverso la vera fede che Dio opera, è per la loro fede che i santi hanno fatto miracoli. È la fede che Dio ci chiede, quando ci vuole bambini. Lui ha promesso che sarà con noi tutti i giorni, fino alla fine del mondo, perciò dobbiamo chiedere, chiedere, chiedere.
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